IL BATTESIMO DELLO SPOSO NELLA NOSTRA VITA REDIME LA CARNE FACENDONE LA DIMORA DEL SUO SPIRITO DI AMORE

 

Immergendosi nelle acque della morte Gesù ha voluto, dal principio della sua missione come in un’overture, manifestare la Giustizia di Dio, che avrebbe compiuto nel Mistero Pasquale. La misericordia infinita ha cercato ardentemente l’uomo spacciato. La speranza ha cercato la disperazione. La sublimità del Cielo ha cercato la profondità della terra. Lo Spirito Santo ha cercato l’inganno della carne. La Sapienza celeste ha cercato la stolta menzogna del mondo. Rivelandosi al Giordano, Gesù ci svela il segreto che può cambiare la nostra vita: il suo battesimo sconvolge i bollettini medici delle nostre anime sciogliendo per sempre la prognosi come nessuno avrebbe potuto immaginare: la morte è vinta! La Giustizia celeste ci guarisce dalla giustizia umana, la nostra, che colpisce e vendica, spegne la speranza, spezza la troppa debolezza. Il luogo del battesimo di Gesù è da ritenersi presso le sorgenti più basse del Fiume Giordano, ad est di Gerico, il punto più basso della terra emersa, centinaia di metri sotto il livello del mare. La geografia terrestre è segno della geografia dell’anima: Gesù si spinge sino alle regioni più remote e oscure dello spirito umano, laddove siamo precipitati credendo agli inganni del demonio. Scendendo nelle acque Gesù sperimenta l’abbandono, l’assenza di Dio che svuota la vita e la fa rimbalzare da un peccato all’altro. Per questo anche oggi viene a farsi battezzare da Giovanni, la Chiesa che lo immerge nel nostro matrimonio, e lo fa scendere nella piaga maleodorante di gelosia e rancore, proprio dove non riusciamo a perdonare il tradimento, la sciatteria in cui l’altro ha fatto scivolare il rapporto, le disattenzioni e la superficialità. Il Giordano è oggi quel rivolo d’acqua avvelenata che ci fa pensare male dei figli, che non cambieranno mai. E ci chiede solo di poter immergersi nei nostri peccati, per tirarci fuori dalla paura della sofferenza e della morte che suppone l’amore autentico. Gesù ci chiede di lasciarlo scendere nel punto più basso della nostra esistenza per farne il più alto: sì, ciò che oggi ci induce alla disperazione può divenire un anticipo del Cielo. Come la Croce che, piantata nella profondità della terra, si eleva sino alle altezze celesti. Ci guarda con la stessa compassione con cui ha guardato Giovanni: come Lui e come Pietro anche noi vorremmo “impedirgli” di amarci così come siamo. L’orgoglio giunge a tanto, a crederci ancora come Dio capaci di salvarci da soli, e salvare persone e situazioni. Ci è difficile accettare che per salvare il matrimonio, quell’amicizia, il rapporto con figli e parenti, per strapparci alla sedia elettrica già pronta, Dio stesso debba farsi peccato e lasciarsi giustiziare al posto nostro per adempiere ogni giustizia. Preferiremmo essere battezzati noi da Lui, secondo ogni logico criterio religioso. Ma che sia Dio ad inginocchiarsi dinanzi a noi per lasciarsi sommergere dai nostri peccati, e per mano nostra per giunta…. E’ incomprensibile una Giustizia così; non l’abbiamo mai vista, non la conosciamo, nessuno ce l’ha mai insegnata; a scuola, in televisione, su internet, dove mai si è visto che per fare Giustizia del colpevole si giustizi l’innocente e che, grazie a questo, proprio il reo si ritrovi assolto e con la fedina penale immacolata? Quel giorno al Giordano accadde proprio questo, così come oggi accade sulle rive delle nostre storie, follia d’amore che solo Dio può aver escogitato: il “Figlio prediletto” si è fatto l’ultimo, dietro il più grande peccatore della storia, perché anche questi, come sospinto da Gesù, possa risalire alla vita. Battezzati con Lui possiamo ascoltare anche oggi la voce del Padre che ci annuncia la gioia più grande: figli nel Figlio, “si è compiaciuto” anche in noi poveri peccatori. Come disprezzarci ancora, come continuare a disperare e giudicare? Ormai libero dalle acque della morte, come Noè dopo il diluvio Gesù ha visto aprirsi il Cielo. Per questo può scendere “la colomba”, immagine dello Spirito Santo. Essa, come l’alito divino che ha creato l’universo, è scampata al diluvio che ha sepolto ogni cosa, e in Gesù riemerso dalle acque trova finalmente l’arca, la dimora dove poter permanere. Tutto questo si compie oggi: giustificati e per questo risorti, possiamo alzare lo sguardo e scoprire che il Cielo rimasto chiuso per tanto tempo è ora aperto proprio sopra di noi. E’ vero che sino ad oggi la carne ferita dal peccato ci ha reso incapaci di amare. Ma con questa stessa nostra carne Gesù è risorto, trasformandola nella degna dimora dello Spirito Santo. Per questo la Festa del Battesimo di Gesù è la festa della nostra carne redenta: in Cristo possiamo amare oltre la morte, e così dischiudere il Cielo su questa generazione che ha perduto la speranza nella vita eterna.

LA LUCE DELLA PAROLA CI ILLUMINA CONDUCENDOCI A CRISTO OFFERTO PER NOI NELLA CHIESA

Tra tanti uomini solo i Magi hanno visto la “sua” stella. Secondo l’originale greco “magoi” potevano essere stati, astrologi, astronomi, incantatori e maghi, sapienti dunque secondo il mondo o perfino degli imbonitori. La tradizione popolare basata sulla letteratura apocrifa li ha poi dotati di dignità regale e dato loro i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Eppure, nonostante il sapere e il potere, hanno lasciato l’uno e l’altro per mettersi in cammino come Abramo, senza sapere dove erano diretti e Chi avrebbero incontrato. Semplicemente cercavano un altro Re, certo più importante e sapiente, e che potesse insegnare loro qualcosa di sconosciuto; altrimenti chi glielo avrebbe fatto fare? L’inquietudine e l’insoddisfazione per una vita ricca e sapiente che non li saziava e non li colmava di gioia, aveva dischiuso i loro occhi sullo “spuntare” di quella nuova stella così diversa dalle tante che avevano scrutato. L’unica stella capace di illuminare la radice delle sofferenze e destare il loro cuore alla speranza: la stella della Parola, la luce che, nella tradizione rabbinica e dei targum, ha presieduto alla creazione, all’esodo, e che avrebbe segnato l’avvento del Messia. La luce della Torah al cui splendore cammineranno i popoli pagani verso la stalla di Betlemme, profezia della Chiesa dove incontrarLa fatta carne in Gesù per noi e in noi. La “sua” stella, perché è l’unica che opera ciò che annuncia, come hanno sperimentato i Magi. Cercavano un Re, hanno trovato un Servo fatto bambino. Cercavano una sapienza e un potere più grandi, li hanno trovati crocifissi. Dinanzi a Lui hanno compreso che quel viaggio compiuto alla luce della stella li aveva fatti scendere dall’inganno sin dentro la Verità: per questo si inginocchiano deponendo, come in segno di resa, ai piedi del Bambino tutto ciò a cui si erano appoggiati illudendosi di esserne i possessori: l’oro della divinità, l’incenso della regalità e la mirra dell’umanità con la sua sapienza. Avevano compreso di non essere dio, e che senza l’incontro con quel Bambino nel quale era apparso Dio, il loro potere era stato vano e incapace di renderli uomini davvero sapienti. Come ogni gentile (pagano) che non ha ancora ascoltato l’annuncio del Vangelo. Come tu ed io oggi, di cui i Magi sono immagine e profezia; noi che cerchiamo e non troviamo la felicità e la realizzazione nella sapienza che ci insegnano a scuola e sui media, nel potere, nell’onore, nel successo e nell’essere amati e rispettati. Siamo insoddisfatti perché la storia ci ha presentato dolori, delusioni, frustrazioni? Non ci piacciamo e non accettiamo chi ci è accanto? Detestiamo la nostra e l’altrui debolezza? Perfetto, è giunto il “kairos”, il tempo favorevole per puntare il cielo oscurato dalla menzogna del demonio e scorgere l’unica stella capace di brillare più di quelle effimere della sapienza mondana e quelle illusorie del potere. L’unica stella che ha il potere vero, quello sul buio di un sepolcro e che dischiude la gioia autentica della risurrezione di Cristo che nessuno potrà toglierci. Ascoltiamo e apriamoci oggi alla predicazione della Chiesa, l’unica stella che ci è data per illuminare la nostra realtà di peccato e indicarci il cammino di conversione incontro all’unico Salvatore. Gesù ci attende nella stalla, la comunità cristiana dove Maria ci accoglie nella misericordia e ci gesta per darci alla luce, attraverso i sacramenti, intimamente uniti a suo Figlio, custoditi dall’obbedienza silenziosa di Giuseppe incarnato nei pastori e nei catechisti. Apriamo dunque gli scrigni della nostra realtà, deponiamo dinanzi a Lui le nostre esistenze, senza escludere nulla, anche i nostri peccati. Non temiamo! Consegnato a Cristo, tutto di noi diviene prezioso e capace di rendergli onore, perfino le debolezze e le cadute. Perché la sua Gloria che risplende nella Chiesa è luomo vivente (S. Ireneo) abbracciato, perdonato e ricreato come figlio di Dio partecipe della sua natura, che come un re regna sugli idoli e la sapienza di questo mondo, e colmo dello Spirito vivificante del Signore risorto può offrire nellamore la sua carne per fratelli e nemici.