Paradosso etico a New York: Coca Cola vietata, canne ok. Le strane scelte del sindaco, detto “Nonna Bloomberg” per il suo paternalismo. Dice no a grassi e bibite gasate e sì alla marijuana, di moda tra i progressisti

NEW YORK – Dopo la legalizzazione dei matrimoni gay, New York si appresta a seguire il sentiero intrapreso da stati quali la California e il Connecticut, decriminalizzando la marijuana. Andrew Cuomo, governatore democratico dello Stato di New York, ha proposto infatti di abbassare le pene per possesso di piccole quantità di marijuana, riducendo il reato da ‘misdemeanor’ a ‘violation’. Mentre adesso il possesso della sostanza illegale è punibile con il carcere, una ‘violation’ comporta solo una multa.

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Secondo il progetto, la polizia potrà arrestare chi fuma marijuana in pubblico, ma il possesso fino a 25 grammi verrà punito solo con un ammenda di non oltre cento dollari, in caso di “prima volta”. La polizia di New York – che si è detta favorevole alla proposta – arresta ogni anno oltre 50mila persone per reati legati all’uso di marijuana.

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Cuomo sostiene che modificando le pene per il possesso di marijuana, si aiuterà lo Stato a evitare l’arresto e la detenzione di migliaia di cittadini, (solitamente giovani, neri e ispanici senza precedenti penali) che gravano pesantemente sul sistema giudiziario dello stato in un momento di crisi economica. La proposta è appoggiata anche dal sindaco della Grande Mela, Michael Bloomberg, finora sostenitore di un approccio più duro. Mentre la minoranza repubblicana al Congresso statale di Albany ha già dichiarato guerra, (“Cuomo vorrebbe condonare il possesso di droghe”, ha tuonato il Senatore repubblicano Dean G. Skelos), il celebre reverendo afro-americano e leader dei diritti civili Al Sharpton l’ha definita “un passo nella giusta direzione”.

 

Sembra un paradosso. «Sì» alla depenalizzazione del possesso di piccole quantità di marijuana ma «no» alle bibite zuccherate dalla taglia esagerata. Questa è New York e in particolare il suo sindaco, Michael Bloomberg, quintessenza del liberalismo americano.

Se ad alcuni può sembrare strano per un politico che è stato prima repubblicano, poi democratico e infine autodefinitosi «fieramente indipendente» il tutto si riconcilia senza un grinza perché come nota giustamente l’irriverente rivista americana Slate a Bloomberg «non gliene importa nulla di ciò che pensano gli altri».
Infatti, dal 2002, il primo cittadino della Grande Mela ha promosso una lunga lista di iniziative volte a ordinare la vita dei cittadini. Già dal lontano 2005 New York è la prima città al mondo a vietare il trans fat (una forma di grasso non saturo) o in altre parole a imporre limiti ai migliaia di ristoranti che fanno dell’hamburger unto e bisunto il loro plat de résistance. Non contento, nel 2010, Bloomberg ha imposto che su ogni menù cittadino, a fianco delle diverse portate, sia messo in bella vista l’ammontare delle calorie in modo che i cittadini siano «facilitati in una scelta ragionata».
Poi dal 2011 è stato vietato il fumo in tutti i luoghi pubblici con l’eccezione di piccoli spazi appositi solitamente sistemati sotto lo sguardo attento e severo dei passanti; e di nuovo nello stesso anno la città ha passato un’ordinanza che ha imposto ai supermercati e ai ristoranti di ridurre del 25 per cento la quantità di sodio presente nei cibi venduti pre-impacchettati. «Grande Nonna» è già soprannominato il sindaco da molti newyorchesi e ancora «tata Bloomberg» è apparso scritto su una pubblicità diffusa la settimana scorsa sul New York Times a cura dal Center for Consumer Freedom, una lobby che rappresenta alcune delle maggiori compagnie alimentari americane. Ora nessuno crede alle buone intenzioni dietro allo sforzo delle lobby di difendere il diritto degli americani a bere Pepsi à gogo e nessuno vuole mettere in discussione il fatto che patatine fritte e cheeseburger siano dannose per la salute. Anche per quanto riguarda la marijuana chi ha fino a oggi maggiormente ha guadagnato da un ordinamento giudiziario severo sono state le carceri, in America in mano a società private che ricevono sussidi statali in base al numero di reclusi. Ciò che però irrita è l’asserzione implicita nell’atteggiamento di Bloomberg: il paternalismo.
Perché è questo che lega l’interdizione a bere troppe bibite zuccherate, il divieto imperativo di fumare una sigaretta a Central Park e il non poter scegliere di mangiare le patatine che si preferiscono. Questo tipo di salvaguardia è l’ossessione tipica del liberal americano, quella saggezza infusa di un’autorità che guarda dall’alto verso il basso, convinta che le élite sappiano sempre cosa sia meglio per le masse e mai viceversa.
Questo stesso atteggiamento può essere anche colto nella decisione di Bloomberg di blindare la città l’estate scorsa quando l’uragano Irene colpì New York e il sindaco fece chiudere in maniera preventiva la metropolitana, consigliò ai newyorchesi di rimanere a casa e adottò toni che sembravano premonire l’arrivo del giudizio universale. A New York i danni furono minimi. E se i media liberal lo hanno comunque osannato, la sentenza dei lavoratori del Dipartimento del trasporto di New York è stata una sola: «Reazione esagerata». Ossessione da prevenzione dunque e soprattutto la volontà di essere una sorta di eroe onnisciente in grado di prevenire ogni male imponendo restrizioni volte a costruire una città dove nessuno avrà neanche più la possibilità di comportarsi scorrettamente e ancora, altra faccia (paradossale) della medaglia, nessuno sarà in grado di comportarsi in maniera «corretta» per scelta personale.

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