Dolan: «La Chiesa Usa è strozzata». Usa e contraccezione: una controversia giudiziaria Lo Stato garantisca libertà la coscienza non ha padroni

«La Chiesa cattolica americana è stata strozzata» dall’obbligo imposto dall’Amministrazione Obama di offrire ai propri dipendenti copertura sanitaria per metodi contraccettivi.
Timothy Dolan, arcivescovo di New York e presidente della Conferenza episcopale americana, è tornato ieri a spiegare i motivi della denuncia sporta contro il governo di Washington dalle principali organizzazioni cattoliche Usa. «Sembra che l’amministrazione ci voglia punire per servire il più ampio numero di persone possibile, senza chiedere un certificato di battesimo alla porta», ha detto il cardinale dagli studi della rete Cbs.Dolan faceva riferimento all’unica eccezione che il ministero alla Salute americano ha previsto per l’obbligo di copertura assicurativa dei metodi contraccettivi. Per essere esenti dalla misura, ospedali, università e enti caritatevoli cattolici devono avere la unica missione di «propagare la fede», impiegare solo cattolici e prestare i loro servizi solo a cattolici. Una limitazione che l’arcivescovo, insieme ai rettori delle principali università cattoliche americane e alla Caritas Usa definisce «una camicia di forza».«Da quando il governo può dire a un’organizzazione religiosa quale deve essere il suo ministero?», ha chiesto, aggiungendo che i vescovi non hanno intrapreso «una battaglia legale contro la contraccezione, ma in difesa della libertà di proteggere le donne dallo sfruttamento sessuale, di fornire cure sanitarie ai meno abbienti e di sfamare i senza tetto – tutte le cose che la Chiesa fa da sempre e che sa fare bene, a beneficio di tutti». Le diocesi statunitensi e decine di associazioni hanno dunque presentato 12 cause legali in diversi Stati. «Questa causa riguarda una delle più apprezzate libertà americane: quella di praticare una religione senza l’interferenza del governo», hanno scritto nel ricorso l’arcidiocesi di Washington e l’Università Cattolica d’America.Mentre il presidente dell’Università di Notre Dame, il più prestigioso ateneo cattolico del Paese, ha fatto sapere di aver deciso di unirsi all’azione legale dopo aver cercato invano di trovare un compromesso accettabile. «Noi non cerchiamo di imporre le nostre convinzioni religiose agli altri – ha spiegato il reverendo John Jenkins – e chiediamo semplicemente che il governo non ci imponga i suoi valori quando questi sono in conflitto con i nostri insegnamenti religiosi». L’ateneo è considerato un baluardo del confronto di punti di vista diversi, e aveva attirato critiche nel 2009 per aver invitato Barack Obama a tenere il discorso di fine anno ai neolaureati, conferendogli anche una laurea ad honorem in legge.Il mondo cattolico e lo stesso cardinale Dolan si sono detti disposti a riprendere il dialogo con la Casa Bianca, «ma solo se ci diranno che sono disposti a rivedere le condizioni per l’esercizio dell’obiezione di coscienza», ha precisato l’arcivescovo, che lo scorso febbraio si era incontrato a tu per tu con Obama proprio per individuare una via d’uscita alla scontro. «Non metto in dubbio la buona fede del presidente – ha aggiunto – e gli credo quando dice di apprezzare il lavoro della Chiesa cattolica e di non volerne impedire l’opera.Ma penso che all’interno della sua amministrazione abbia prevalso un approccio intransigente a tutto ciò che concerne la riforma sanitaria». Nel marzo 2010, Obama riuscì a far approvare dopo un lungo iter in Congresso una legge di riorganizzazione del sistema sanitario che impone a tutti i residenti degli Usa l’obbligo di avere un’assicurazione sanitaria e sovvenziona i costi della copertura per le famiglie del ceto medio-basso.

La legge offre anche incentivi alle piccole imprese che offrono benefit sanitari ai loro dipendenti. La misura è stata però respinta dal 26 Stati e il mese prossimo la Corte suprema si pronuncerà sulla sua costituzionalità. Il candidato repubblicano alla presidenza Mitt Romney (che in qualità di governatore del Massachusetts aveva implementato una simile misura) ha promesso di abrogarla se eletto.

Elena Molinari
Tempi

La gabbia delle libertà

Suzanne Tanzi

STATI UNITI – ETICA E POLITICA

È lontana dall’essere una “questione cattolica”. A rischio sono «il bene di tutta la società» e la creazione di «una cultura viva». L’obbligo di copertura che il Governo Usa impone ai datori di lavoro sui servizi preventivi (dalla contraccezione all’aborto) mina i fondamenti del vivere, comune e individuale. Il giurista PAOLO CAROZZA mette a fuoco i fattori della polemica che si è scatenata. E la responsabilità di ciascuno: non lasciare un vuoto da riempire con lo Stato

Il mandato del Dipartimento della Sanità e dei Servizi alla Persona (il ministero della Sanità americano), annunciato dal segretario Kathleen Sebelius il 20 gennaio scorso, che impone ai datori di lavoro, organizzazioni religiose comprese, l’obbligo della copertura sanitaria per tutti i servizi preventivi raccomandati dall’Istituto di medicina, inclusi contraccezione, sterilizzazione e aborto, ha sollevato un polverone in tutti gli Stati Uniti. Reazioni e contestazioni non sono esplose solo nel mondo cattolico e di altre confessioni religiose. Mentre molti esperti festeggiavano la “liberazione” della sanità americana, una gran fetta della stampa, anche quella che di solito assume posizioni molto ostili alla Chiesa (il New York Times, il Wall Street Journal, il Washington Post, tanto per fare qualche nome) ha assunto toni critici, appellandosi al Primo emendamento della Costituzione americana. Abbiamo chiesto a Paolo Carozza, professore e direttore del Centro per i diritti umani all’Università di Notre Dame di guardare e approfondire il dibattito di queste settimane, per vedere cosa c’è veramente in gioco. Ciò che è a rischio non è solo un ambito della libertà religiosa, ma «il principale aspetto della libertà umana: il cercare e aderire al significato ultimo delle cose».

La Chiesa afferma che in questa vicenda si richiede la libertà religiosa non per proteggere il proprio angolino, ma, in ultima analisi, per manifestare «la virtù singolare della propria dottrina nell’ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività», come dice la dichiarazione Dignitatis humanae. La protesta che attraversa confessioni e correnti politiche sembra, in un certo modo, una conferma di questo…
Certo, chiaramente la polemica tocca un elemento sentito a livello profondo e generalizzato. Per capire la reazione è utile avere in mente com’è strutturato il regolamento sanitario, lasciato sostanzialmente invariato dal “compromesso” offerto e non ancora attuato dal presidente Obama. Primo: dice che tutto ciò che il Governo chiama “servizi sanitari preventivi indispensabili” deve essere fornito e pagato dai datori di lavoro. Oggi sono la sterilizzazione volontaria, la contraccezione e i metodi chimici abortivi; la prossima settimana, o l’anno venturo, sarà qualsiasi altra cosa che il Governo sceglierà di aggiungere alla lista. Secondo: dice che gli unici enti che possono essere esonerati da questi obblighi per ragioni di credo religioso sono quelli che assumono e sono al servizio principalmente di persone della loro medesima fede (per esempio, una parrocchia). Istituzioni come scuole e università, ospedali, o opere di carità al servizio dei poveri e degli oppressi non sono considerate vere e proprie istituzioni religiose, quindi devono attenersi al decreto del Governo altrimenti rischiano proibitive sanzioni economiche.

Questo penalizza enormemente la libertà delle istituzioni e delle persone implicate…
In altre parole, le comunità di aderenti a una fede religiosa non possono dare vita a organizzazioni che intendano agire e essere presenti in modo capillare nella società (invece che soltanto all’interno delle proprie comunità religiose), senza che lo Stato imponga loro di servire gli interessi e i valori stabiliti dal Governo. In questo assurdo sistema non ci è permesso educare i giovani, curare l’ammalato, vestire l’ignudo, confortare l’afflitto, cercare giustizia per l’oppresso, ospitare lo straniero, nutrire l’affamato, se non violando i nostri principi fondamentali ogni volta che lo Stato ordina di farlo. Qui, quindi, si vede qual è la vera posta in gioco, e cioè la libertà fondamentale delle comunità religiose di agire nel mondo, vale a dire: vivere in solidarietà con gli altri, partecipare pienamente alla realizzazione del bene comune dell’intera società e creare una cultura viva. Siamo ben lontani da una “questione cattolica”.

Allora è un’esagerazione dire che la posta in gioco riguarda il fondamento della libertà umana?
La posta in gioco è il principale e più importante aspetto della libertà, il cercare e aderire al significato ultimo delle cose, non solo nella sfera della coscienza privata, inscindibile e individuale, con l’etica personale del singolo o con atti di culto pietistici, ma in rapporto a tutta la realtà (famiglia, lavoro, educazione, arte, politica…). C’è in ballo la libertà di religione, di dare la vita, di essere presenti come realtà culturali. Questa polemica aiuta a ricordare che la riduzione moderna della libertà religiosa a protezione dalla coercizione in materia di credo personale, culto e coscienza “in senso stretto”, riflette sia una riduzione dell’essere umano nella sua integralità, sia una riduzione delle inevitabili dimensioni comuni e culturali della religione.

Il significato più ampio di libertà è in contrasto con la concezione prevalente di “diritti”. In particolare, un certo concetto di diritto sembra insinuare che lo Stato abbia il dovere di proteggere i cittadini dagli “influssi coercitivi” dei principi religiosi… In questo modo i diritti garantiti dallo Stato non sono forse destinati a entrare in conflitto con la religione e la libertà religiosa? 
Concretamente, temo che questo conflitto tra libertà religiosa e certe concezioni e pratiche politiche di “diritti umani” sia destinato ad allargarsi. Ma, a un livello più profondo, sono convinto che il concetto di diritti umani fondamentali sia compatibile con un’antropologia autenticamente umana di comunione e dipendenza, e insieme indispensabile per regolare la vita sociale e politica. Il problema non è nei “diritti” in quanto tali, ma nella loro specifica ideologia, che strappa il significato della singola persona dal complesso intreccio di dignità umana e bene comune, che nascono entrambi da un riconoscimento del destino trascendente dell’uomo. Senza questo, la lingua dei diritti diventa soltanto un gioco di potere.

Nello scontro non si riesce più a definire cosa sia il “bene comune”…
Attualmente il bene comune non ha bisogno tanto di una definizione astratta o di un significato concettuale, quanto di diventare un’esperienza di un fatto: il fatto della nostra appartenenza a un Altro, delle esigenze comuni, dei desideri oggettivi e universali del cuore umano. Il riconoscimento del significato della nostra interdipendenza materiale è anzitutto un problema di educazione. Abbiamo bisogno di educare noi stessi e i nostri figli, prima di tutto, al significato di caritas, alla lealtà verso il mistero e all’irriducibilità di ogni persona. Certo, così torniamo al punto di partenza. Le indicazioni del Dipartimento della Sanità e dei Servizi alla Persona sono pericolose non solo perché in una società pluralistica capita di trasgredire alle preferenze personali di qualcuno, ma perché toccano il fondamento della nostra libertà di educarci reciprocamente. Il magistero della Chiesa sulla contraccezione e sull’aborto, dopo tutto, non è semplicemente un insieme di precetti morali casuali e arbitrari, ma un giudizio coerente sul significato e sul destino della vita umana, cioè che la vita è dono di un Altro.

La concezione e la pratica della sussidiarietà stanno venendo estromesse dalla struttura sociale e politica degli Stati Uniti?
Niente è più evidente, in questa polemica, del disprezzo di coloro che hanno in mano la sanità, la politica e le leggi per la libertà delle associazioni intermedie che stanno tra l’individuo e lo Stato. Quelle associazioni attraverso le quali scopriamo la nostra umanità e quella di coloro che ci sono vicini. L’intolleranza del pluralismo, rappresentata da queste norme, è sbalorditiva, amaramente ironica nel contesto di una società che si propone di fare della tolleranza e della diversità i suoi più alti valori pubblici. Ma sarebbe troppo facile, e ultimamente inutile, cercare una risposta nella “struttura politica e sociale” del Paese. La sussidiarietà è più di un insieme formale di disposizioni istituzionali; è una modalità di agire nel mondo e una risposta ragionevole alla dinamica realtà umana. Se smettiamo di dare vita e sostegno alla nostra cultura, ci sarà solo un vuoto da riempire con lo Stato. La sussidiarietà inizia da noi.

Tracce Aprile 2012

Usa e contraccezione: una controversia giudiziaria
Lo Stato garantisca libertà la coscienza non ha padroni
In otto stati degli Usa, e nel District of Columbia (Washington), viene portata in questi giorni davanti ai tribunali una controversia giudiziaria che vede alcune diocesi cattoliche, università ed enti religiosi, impugnare il mandato federale di Obama che obbliga i datori di lavoro a pagare ai dipendenti un’assicurazione medica che comprende la copertura per contraccettivi. Forzando così, contro coscienza, a sostenere le pratiche di birth control anche coloro che le ritengono contrarie all’etica coerente con la loro fede.Non è un problema di diritto assicurativo, in qualche variante di dettaglio. È un problema di libertà, di «libertà religiosa», che lo stesso Obama aveva avvertito, alle prime avvisaglie del dissenso emerse nello scorso novembre, essere «un diritto inalienabile». Un punto di diritto costituzionale, dunque, e più profondamente un punto dove il concetto stesso di libertà, così tipico della civiltà americana, rintraccia una delle sue radici storiche fondamentali.Proprio il rispetto delle fedi, delle varie tradizioni di fede religiosa dentro una struttura politica di democrazia, consacrando la libertà di credere e di vivere coerentemente alla fede, ha fondato una cultura in cui il riferimento a Dio percorre la storia dalla dichiarazione d’indipendenza («il Creatore ha dotato gli uomini di diritti inalienabili, e tra essi vi sono la vita, la libertà e il desiderio di felicità») al discorso di Kennedy nel 1961: «I diritti umani non derivano dalla generosità dello Stato, ma dalle mani di Dio».Oltre il rilievo così manifesto di una rivendicazione di libertà, credo che sia necessario riflettere sull’aspetto positivo e costruttivo dell’attenzione posta sul tema della procreazione umana, in tempi in cui molti vorrebbero ridurlo a questione di «salute sessuale riproduttiva». Si eviterebbe così di considerare questo problema etico come un altro inciampo posto di traverso alla riforma sanitaria e assicurativa di Obama, che per molti aspetti merita consenso di base.Che sciocco sbaglio, quel dispositivo sulla contraccezione come salute pubblica. Opporsi, ragionatamente, non è frutto di una mentalità “natalista”, ma della convinzione che trasmettere la vita allaccia l’amore umano a quello di Dio, perché il figlio chiamato alla vita è persona, amata da Dio, per se stessa destinata alla Vita; e che la procreazione “responsabile” conosce criteri oggettivi di moralità. Questi criteri hanno fondamento nella natura stessa e rispettano il senso integrale del dono d’amore, compatibile col ricorso ai periodi infecondi, non invece con la contraccezione che introduce un artificio di rifiuto alla vita, un elemento falso nel gesto d’amore.Così mi sembra di intendere l’intreccio fra religiosità e libertà che anima il ricorso ai tribunali americani di fronte all’iniziativa del pubblico potere. Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini e garante della loro libertà, non è il padrone della loro coscienza. Anzi, proprio in questo campo che riguarda la vita, non può in alcun modo interferire nelle iniziative che appartengono unicamente agli sposi, e men che meno intervenire con mezzi contrari alla legge morale. Non può forzare nessuno a una complicità rifiutata.

Giuseppe Anzani

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